Il 22 marzo 2023 la Commissione UE ha presentato la proposta di direttiva n. 85/2023, che concretizza ancora una volta l’impegno e l’attenzione nel quadro del Green Deal europeo – il pacchetto di iniziative strategiche e norme tramite cui l’UE vuole incominciare il percorso di transizione verde – con l’obiettivo ultimo di raggiungere la neutralità climatica entro il 2050.
In particolare, questo terzo pacchetto di norme si scaglia contro le etichette ingannevoli ed il fenomeno del greenwashing in generale. Il greenwashing non è altro che una pratica ingannevole, usata come strategia di marketing da alcuni marchi per sembrare impegnati nei confronti dell’ambiente. Questa pratica ha un duplice obiettivo: valorizzare la reputazione ambientale dell’impresa e aumentare il bacino di clientela, catturando l’attenzione dei consumatori attenti alla sostenibilità.
Già nel 2021 è stata emessa la prima ordinanza cautelare di un Tribunale italiano – una delle prime anche in Europa – in materia di greenwashing. La vicenda riguarda due aziende che producono tessuti ad alto contenuto tecnologico e si è conclusa con la decisione del Tribunale che ha costretto una delle due a modificare una pubblicità relativa a uno dei suoi prodotti poiché “alcuni concetti riportati trovano smentita nella stessa composizione e derivazione del materiale”. Sembra che, con questo nuovo pacchetto di direttive, la Commissione Europea voglia continuare a contrastare il fenomeno del greenwashing seguendo questa linea.
Se, quindi, queste nuove direttive dovessero essere approvate, buona parte dei prodotti con etichette che presentano richiami alla sostenibilità potrebbero scomparire dagli scaffali dei supermercati. Uno studio voluto dalla Commissione europea nel 2020, aveva rivelato come il 53,3% delle asserzioni ambientali esaminate erano troppo “vaghe, fuorvianti o infondate” e che il 40% era addirittura “del tutto infondato”.
Proprio per questo, la Commissione ha proposto criteri comuni per contrastare il greenwashing e le asserzioni ambientali ingannevoli, con l’obiettivo di garantire ai consumatori maggiore chiarezza e garanzie: accertandosi che un prodotto, presentato come ecologico, lo sia realmente, e che comunque si abbiano il maggior numero di informazioni a disposizione per poter compiere una scelta più consapevole.
La realtà è che ad oggi non esistono delle vere e proprie direttive comuni per le imprese che presentano le autodichiarazioni ambientali, ovviamente ciò spiana la strada al fenomeno del greenwashing e soprattutto rischia di intaccare la credibilità di aziende che realmente si spendono in difesa dell’ambiente.
Le priorità della Commissione sono, quindi, due: la tutela dei consumatori e la tutela delle aziende veramente impegnate nella lotta al clima. Ciò sarà possibile fornendo un maggiore controllo sulle dichiarazioni fatte dalle aziende. All’atto pratico le “autodichiarazioni ambientali” resteranno, ma dovranno essere verificate in modo indipendente e convalidate da prove scientifiche. Ciò significa che ogni impresa o brand che vorrà arricchire i propri packaging e le proprie etichette con richiami alla sostenibilità sarà tenuto a dimostrare sia gli impatti ambientali che sono effettivamente pertinenti per i loro prodotti, che gli eventuali compromessi tra i vari impatti derivati dalla produzione.
Non è ancora possibile conoscere la portata delle misure deterrenti e delle eventuali sanzioni, ma ciò che si sa è che saranno gli stessi Paesi membri dell’UE ad introdurre un sistema di controllo nazionale e conseguenti multe e sanzioni. L’ultimo passaggio che resta da compiere è quello di sottoporre queste direttive, unite sotto il nome di “Green Claims”, al vaglio del Consiglio e del Parlamento europeo.