Analizzando il panorama industriale, il settore tessile è il secondo più inquinante al mondo. Basta pensare che per fabbricare 1 kg di vestiti in cotone si consumano 11.000 litri d’acqua (oltre a pesticidi e fertilizzanti) e si emettono 23 kg di anidride carbonica nell’atmosfera. Oltre l’85% dei vestiti finisce in una discarica e incredibilmente solo l’1% viene riciclato o rigenerato. Tutto ciò ha un impatto devastante sul nostro pianeta e quello dell’inquinamento è un problema che non possiamo più sottovalutare in un momento storico delicato come quello che stiamo vivendo.
Secondo Alan Rusbridger, ex direttore del Guardian, “La pandemia è la prova generale di quello che ci aspetta con il cambiamento climatico”. Questo va frenato non solo per preservare il nostro pianeta ma anche per evitare il proliferare di nuovi virus. Dal recente studio ‘Covid-19 and rural landscape: the case of Italy‘, condotto dall’Università di Firenze e dalla Banca centrale europea (BCE), è emerso che il virus si diffonde maggiormente nei territori dove sono più elevati gli input energetici, dovuti ad esempio ad attività industriali e agroindustriali
In questo contesto diventa una necessità erigere un nuovo modello di società e di sviluppo economico più equo, più sostenibile, che promuova il rispetto dell’ambiente, la circolarità, l’ottimizzazione delle risorse e una maggiore tracciabilità.
Moda etica: esempi virtuosi di economia circolare
I grandi player del settore fashion stanno adottando gradualmente una visione eco-sostenibile della moda. Il tema era già sentito da alcuni anni, ma è diventato centrale dopo lo scoppio della pandemia.
Sono le eco-fibre infatti il futuro della moda: i capi realizzati con questi materiali sono sostenibili e possono essere riciclati, anziché contribuire a inquinare.
Il mercato dell’eco-fibre è infatti in fortissima crescita. Grazie alla bioingegneria, si riescono ad ottenere tessuti derivanti dai materiali più impensabili.
Negli ultimi anni si è assistito ad una proliferazione di brand attenti alla sostenibilità. Vi riportiamo di seguito alcune esperienze vincenti:
Hugo Boss e le sneakers in Piñatex
Nel 2018 Hugo Boss ha lanciato una linea di sneakers in Piñatex; materiale ricavato da foglie di ananas. Un prodotto secondario dell’agricoltura, che non richiede risorse aggiuntive per crescere e rappresenta una fonte di guadagno in più per le comunità agricole.
Inoltre, le sneakers sono caratterizzate da una suola molto leggera ottenuta da TPU (poliuretano termoplastico) completamente riciclato e da un rivestimento composto dal 50% di cotone (lacci compresi) e dal restante 50% di lino.
Fili Pari e i materiale non convenzionali
L’industria della pietra ogni anno produce un’elevata quantità di materiali di scarto, che comporta altissimi costi di smaltimento. Fili Pari è una start-up innovativa che sviluppa materiali non convenzionali per il settore tessile, nel rispetto dell’ambiente e del territorio. Tra i suoi brevetti abbiamo MARM MORE, un microfilm contenente vera polvere di marmo utilizzato per la creazione di giacche impermeabili, traspiranti e antivento.
Wijld: le t-shirt che nascono dal legno
Altra innovazione bizzarra quanto eco-friendly è quella di Wijld, l’azienda tedesca che ha creato le WoodShirt, una linea di t-shirt realizzate con un tessuto derivato dal legno degli alberi.
A differenza del poliestere, materiale derivato del petrolio, risorsa limitata e la cui lavorazione comporta il rilascio di emissioni nocive; e del cotone, tessuto la cui coltivazione presenta enormi impatti ecologici, la fibra di legno è molto meno dannosa a livello ambientale, oltre ad avere proprietà antibatteriche e termiche. Il legno usato da Wijld proviene prevalentemente da foreste europee certificate FSC o PEFC, e cioè boschi gestiti secondo determinati standard ecologici e sociali.
Stella McCartney: il brand eco-sostenibile per eccellenza
La designer Stella McCartney ha rinunciato all’uso della pelle animale già nel 2001 e dal 2008 utilizza esclusivamente cotone organico, facendo della sostenibilità un manifesto del proprio brand.
Nel 2014, grazie alla bioingegneria, la compagnia californiana Bolt Threads, che studia i microrganismi per poterli ricreare in laboratorio, è riuscita a replicare la tela di ragno, una seta molto elastica, morbida e resistente, ideando così la Microsilk. Stella McCartney è stata la prima designer ad utilizzare la Microsilk, avviando una collaborazione di lunga durata con la società.
Inoltre, Bolt Threads ha ideato il Mylo, un materiale ottenuto dal micelio, la parte sotterranea ramificata che costituisce le radici del fungo. Questo materiale, dopo essere stato lavorato per evitare il processo di decomposizione, si presenta come una valida alternativa alla pelle animale, sia per quanto riguarda la consistenza che la texture. Oltre a Stella McCartney, anche Adidas, il gruppo Kering e Lululemon hanno siglato un accordo con Bolt Threads, con l’obiettivo di portare in passerella una serie di prodotti realizzati in Mylo nel 2021.
Frumat: un “curioso” esempio di economia circolare
Frumat è un’azienda di Bolzano che riutilizza il 50% degli scarti della mela. La società nasce nel 2008 con l’idea di trasformare i residui industriali biologici, altrimenti depositati in discarica o in parte bruciati, in una nuova materia prima. Frumat recupera i rifiuti da produttori della zona, puntando, oltre che sulla sostenibilità, sul tessuto economico locale. Dal riciclo delle bucce e dei torsoli si ottengono carta ed ecopelle. Quest’ultima trova vari utilizzi, dalla produzione delle calzature fino a quello delle poltrone. La commercializzazione è cominciata nel 2015 per il settore della legatoria e nel 2016 per quello della tappezzeria.
Questo cambiamento di rotta dell’industria della moda è stato trainato anche dai consumatori, che sono sempre più attenti all’impatto ambientale e sociale di quello che indossano, soprattutto per quanto riguarda i materiali utilizzati. Secondo il Report 2020 sulla moda consapevole (2020 conscious fashion report) pubblicato da Lyst, la più grande piattaforma di ricerca per il settore moda, in collaborazione con l’associazione Good on you, che guida i consumatori verso acquisti più consapevoli, nel 2020 le ricerche delle keyword “pelle vegana” hanno seguito un trend crescente, con una media mensile maggiore di 33mila, così come “tessuti ecologici” (cotone organico e derivati dalla plastica riciclata) e “biodegradabile”, con una crescita del 10 per cento nelle ricerche dall’inizio dell’anno. Al contrario, le ricerche di “pelle” e “pelliccia vera”, calano del 3,5 e dell’8 per cento rispetto all’anno precedente.
Una cosa è certa: il futuro del fashion sarà non solo nelle mani di stilisti e designer ma anche e soprattutto nelle mani di scienziati e chimici per la creazione di nuovi materiali alternativi. Le eco-fibre stanno iniziando ad essere il presente e saranno il futuro della moda.