Nel bel mezzo del deserto di Atacama, nel nord del Cile, vengono scaricate ogni anno tonnellate e tonnellate di vestiti per i quali non è stato possibile trovare una destinazione migliore.
In questi ultimi anni, il Cile si è specializzato nel commercio di abiti usati provenienti per la gran parte da eccedenze di aziende tessili o in arrivo dagli altri continenti, come Stati Uniti e Asia.
Sono quasi sessantamila le tonnellate di vestiti che raggiungono il porto di Iquique ogni anno, ed è proprio qui che le balle di vestiti vengono smistate ed esportate negli altri Paesi dell’America Latina.
In teoria, questi abiti sarebbero destinati ai vari negozi dell’usato disseminati per tutto il Cile e in generale per tutta l’America del Sud.
Il problema nasce nel momento in cui la produzione di vestiti supera di gran lunga la richiesta mondiale e così questo circuito di abbigliamento usato ne esce inevitabilmente congestionato.
Secondo una stima delle Nazioni Unite, la produzione globale di abbigliamento sarebbe più che raddoppiata tra il 2000 e il 2014 e, come è facile intuire, questo trend è stato e sarà destinato ad aumentare nel corso degli anni.
Nonostante molti grandi player del mercato della moda si siano messi in gioco per provare a percorrere strade più “green”, come abbiamo già raccontato in un precedente articolo, questo problema non è assolutamente di facile risoluzione.
Tornando al Cile, ormai ogni anno quasi quarantamila tonnellate di vestiti-rifiuti vengono abbandonate nelle discariche abusive di Alto Hospicio, un comune nella periferia di Iquique. La maggior parte di questi abiti non può essere accettato nelle discariche municipali perché contiene sostanze chimiche e non è quindi biodegradabile.
Nei pressi delle discariche abusive e intorno ai cumuli di abiti, i cittadini più bisognosi rovistano fra i vestiti abbandonati per cercare qualcosa da indossare o rivendere.
Oltre a chi se la cava come può, c’è anche chi è riuscito a fondare un’azienda sfruttando questa spiacevole situazione.
Nel 2018 Franklin Zepeda fonda EcoFibra, una società di riciclaggio con sede ad Alto Hospicio che tratta oltre quaranta tonnellate di indumenti usati ogni mese: gli abiti vengono preventivamente selezionati e divisi, e quelli sintetici e in poliestere saranno utilizzati per fabbricare pannelli isolanti per gli edifici.
Nonostante la buona volontà di personaggi come Zepeda sia ammirevole, non si può partire dal presupposto che questo problema si risolva da solo. Se da un lato la responsabilità cade sulle spalle dei big del fast fashion, principale fonte di abiti abbandonati, c’è anche da sottolineare come manchino delle norme per regolare il percorso di vita e il riciclaggio degli indumenti.
A tal proposito, il governo cileno avrebbe recentemente annunciato il varo di una legge che interesserà l’industria tessile e in particolare la responsabilità delle aziende che importano abbigliamento nel Paese.
Un annuncio, per ora un auspicio, che non riguarda un problema che investe solo il Cile, ma tutto il mondo.