Dalla Yale è in arrivo un nuovo materiale, una bioplastica, derivato dalla polvere del legno. Questo nuovo prodotto ha mostrato caratteristiche interessanti, come una rapida biodegradabilità e una buona resistenza meccanica e ai raggi UV. Ma cosa significa esattamente il termine bioplastica?
Cos’è una bioplastica ?
Le bioplastiche sono particolari materiali appartenenti alla famiglia delle plastiche, ma per essere considerato bioplastica un materiale deve rispettare alcuni criteri.
Il termine “bioplastica” può essere utilizzato in diversi contesti e può avere almeno tre significati diversi:
- “Bio” per indicare la provenienza delle materie prime
- “Bio” per indicarne la biocompatibilità
- “Bio” per indicarne la biodegradabilità
Nel primo caso il riferimento del prefisso “Bio” sta ad indicare l’origine rinnovabile delle materie prime da cui si è partiti per creare il materiale in questione: può essere definita bioplastica qualunque materia generata tramite materie prime di derivazione non fossile, per esempio da materie prime di derivazione vegetale invece che dagli scarti del petrolio.
Esistono due diversi tipi di “bioplastiche” o “biopolimeri”: i biopolimeri di sintesi e i biopolimeri naturali. I primi vengono ricavati mediante un processo di polimerizzazione partendo da monomeri ricavati a loro volta da fonti rinnovabili. Invece, i biopolimeri naturali sono quelli che vengono sintetizzati partendo direttamente da organismi viventi come piante e animali. La grande differenza tra questi due tipi di bioplastica sta nella biodegradabilità, infatti spesso nel caso dei biopolimeri sintetici, i processi chimici necessari per crearli portano a una non-biodegradabilità.
Si parla di biodegradabilità per segnalare la presenza di una particolare caratteristica di un prodotto nel termine del suo ciclo di vita, ovvero quando si trasforma in un rifiuto. Se un materiale è in grado di degradarsi e scomporsi in altri microorganismi grazie all’aiuto di funghi e batteri, allora tale materiale può essere definito biodegradabile.
In conclusione, si parla della “biocompatibilità” come peculiarità che permette ad una plastica o ad un polimero di venire a contatto con i fluidi e i tessuti del corpo umano senza procurare danni o rigetto.
La bioplastica derivata dalla polvere di legno arriva da Yale
L’ultimo esperimento nel campo dei biopolimeri arriva dall’università di Yale, nel Connecticut (USA).
Grazie ad un solvente eutettico, un gruppo di scienziati è stato in grado di decostruire la matrice porosa del legno per creare un impasto liquido molto viscoso: il liquido può essere colato e laminato senza rompersi.
La bioplastica che ne è venuta fuori è stata valutata durante tutto il suo ciclo di vita ed è stato notato che il materiale presenta una buona resistenza meccanica e una buona resistenza nel trattenere liquidi, oltre ad un’ottima resistenza ai raggi UV. La peculiarità più interessante, però, riguarda la biodegradabilità in condizioni naturali. Il team di ricerca per sperimentare la biodegradabilità del materiale ha deciso di interrare alcuni fogli di bioplastica: dopo due settimane risultavano essersi fortemente frammentati e dopo soli tre mesi completamente biodegradati.
Yuan Yao, professore della Yale e co-autore dello studio, ha affermato che il team si è già messo in contatto con un ecologo forestale per provare a realizzare dei modelli che colleghino il processo di crescita delle foreste con il processo di produzione della bioplastica.
La domanda sorge spontanea, è possibile anche solo immaginare un mondo in cui ogni tipo di plastiche e polimeri verranno rimpiazzati dalle loro alternative “Bio” ?